Certamente a nessuno salterebbe mai in mente di abbinare un bicchierino di liquore con un goccio di vino. Non è tuttavia raro che liquori e distillati entrino in maniera anche prepotente nella composizione di alcune ricette, e allora può presentarsi il problema dell’eventuale scelta del vino. Ma è meglio mettersi il cuore in pace: se il liquore è presente nel piatto in maniera netta non c’è nulla da fare, perché di vino in tavola insieme con quel piatto non ce ne vuole proprio.
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La regione emilia romagna offre un certo numero di vini rossi allegramente spumosi che si prestano in modo egregio ad accompagnare le grasse vivande di tale cucina. Questi vini sono:
Occorre chiarire che del vino Lambrusco esiste non un solo tipo come molti ritengono, bensì una vera e propria famiglia con caratteri differenti. Alcuni vini Lambruschi si distinguono con il nome della località di produzione (Albinea, Fàbbrico, Maestri, Sorbara), altri con una sotto-specificazione del vitigno (salamino e graspa rossa); variano il sapore, il profumo, la stoffa. Tra tutti questi vini rossi dell’emilia romagna primeggia il Lambrusco di Sorbara, aspretto, brioso, facile alla schiuma, in grado di aiutare anche le digestioni più difficili, dolcemente profumato alla viola, asciutto o amabile sulla vena. Il vino Sangiovese discende dal vitigno toscano sangioveto, lo stesso che entra nella composizione del vino rosso Chianti. Fino a tredici gradi, asciutto o abboccato, vena amara, singolare freschezza, odore di mammola, con l’invecchiamento sale al rango di bevanda d’arrosto. Tipico delle tre province di Bologna, Ravenna e Porli, manifesta pienezza di caratteri nelle zone di Predàppio, Cesena e Rimini.
Il vino Gutturnio, esclusivo della provincia di Piacenza, sboccia dal connubio delle uve barbera e bonarda rivelando gusto ammandorlato, “bouquet” di lampone e fragola con pepatura di garofano, alcoolicità sui dodici gradi. Il nome è di fantasia e non ha nulla in comune con il gutturnium romano, speciale coppa adoperata per bere il cosiddetto bicchiere della staffa. vino rosso frizzante emilia romagna” width=”268″ height=”188″ />Giunge da Ziano, i vini Carpaneto, Castel San Giovanni, Gropparello, Vigolzone, Castell’Arquato. L’ultima località richiama alla memoria il nome di Paolo III, grande estimatore di vini bianchi e rossi, che in un banchetto in onore della regina di Navarra troncò una dotta disquisizione sui vini tra i cardinali Contarini e Sandoneto, chiamando il bottigliere e ordinandogli: « Portateci di quello di Castell’Arquato, il solo degno di cotanti ingegni». Il più celebre vino bianco della regione emilia romagna è l’Albana, dodici-tredici gradi, sapido, odoroso di gigli, nei tipi asciutto, amabile, dolce, che non permette eccessive confìdenze in quanto a berne troppo taglia le gambe. Lo incontriamo nelle stesse province del Sangiovese; il migliore vino viene da Bertinoro. A tale proposito si ricorda che Galla Placidia, sorella dell’imperatore Onorio, arrivando un giorno in questa cittadina ricevette dalla popolazione affettuose accoglienze insieme a offerte di prodotti locali: vino, frutta, pane. La principessa bevve e ribevve il vino e alla fine, quasi ebbra, levando in alto il rustico boccale, esclamò: « Vorrei berti in oro! ». Vero o no, l’aneddoto risulta ben congegnato. Tra i migliori vini dell’emilia romagna troviamo il vino Trebbiano in Romagna e nel Piacentino; qui si ha pure un Trebbianino, un vino meno alcoolico e impegnativo, ma fìne e garbato. Ancora della provincia di Piacenza vanno segnalati il vino Muller Thurgau di Ziano e il vino bianco Malvasia di Seminò, l’uno e l’altro da pesce. Vini da dessert sono il Brachetto di Albarola, il Vinsanto di Soragna, la Malvasia di Vigolo Marchese, il Filtrato di Lancellotta, il vino Bianco di Scandiano una volta chiamato per antonomasia vino sciampagnino italiano, e la Malvasia di Maiàtico. Questa fu assaggiata da Garibaldi che la trovò di gusto delicato e volle coltivarla a Caprera. Dopo anni di cure ne ricavò, con grande delusione, un vinello acidulo e scadente. The post I vini dell’Emilia Romagna appeared first on Wine Shop Online. via Wine Shop Online https://online-wine-shop.com/vini-dell-emilia-romagna/ Ad eccezione del Nuragus, tutti gli altri antichi vini sardi sono contraddistinti da un elevato tenore alcoolico; questa particolarità non consente di suddividerli in quattro famiglie, bensì in due: da pasto e da seconde mense. I vini della Sardegna sono:
Negli ultimi decenni, grazie anche alla riforma agraria, la Sardegna ha cominciato ad esprimere bianchi e rossi di media consistenza, quali il Trebbiano, il Sangiovese, il Barbera, il Sandalyon, il Mandrolisai, il S’eleme, il Logoduro, il Goceano ed altri, che si adattano al pesce o all’arrosto. Come si è accennato, degli antichi vini solo il Nuragus ha una bassa alcoolicità, bassa per modo di dire perché i dodici gradi li tocca sempre. S’intitola alle misteriose costruzioni di tal nome di cui l’isola è ricca, ha un sapore secco e acidulo, rivela una dose non comune di tannino; nel primo anno non si presta ad accompagnare il pesce, nel secondo si, però non sopporta che un piccolo invecchiamento. Il vitigno rosso più diffuso è il cannonau, il quale copre all’incirca il venti per cento della superficie vitata dell’Isola; a seconda della posizione e dell’impasto dei terreni, fornisce vini con caratteri differenti. Il più buono ha un tenore alcoolico tra i sedici e i diciotto gradi, sapore asciutto o dolce ma sempre con punta amara e retrogusto di cioccolato, stoffa fitta e profumo di rosa sbocciata. Viene presentato con i nomi di Cannonau de su excelencia, Cannonau secco di Sorso, Cannonau di Jerzu, Cannonau del Campidano, Oliena, Capo Ferrato, Fior di Romangia, Perda Rubia, Rosa de Quirra, Rosso di Dòrgali. Nella collana dei liquorosi si ritrovano dolci e secchi, giallo aurati e rubini più o meno sbiaditi: il Dorato di Sorso, il Mònica, il Nasco, il Ninfeo, il Girò, l’Anghelu ruju, il Torbato e l’Embarcador. Il vino Nasco ricorda l’ungherese Tokaj, il Mònica lo spagnolo Malaga, il Girò (da non confondere con il quasi omonimo Cirò calabrese) il Porto. L’Embarcador sfoggia un dolce venato d’amaro, mentre con i suoi ventun gradi batte il record dell’alcoolicità. Il Campidano e la Gallura producono il Moscato; il Cagliaritano si muove tra i quindici e i sedici gradi, il Gallurese va anche oltre e di frequente, per il naturale processo di fermentazione provocato dall’alta percentuale di zucchero, si trasforma in uno spumante di aristocratica finezza. I vini bianchi Vermentino di Gallura, Malvasia di Basa, Malvasia del Campidano e Vernaccia, quantunque perfettamente secchi, più che da pesce possono dirsi da dessert, sempre per il tenore alcoolico sostenuto. Alla Vernaccia spetta il titolo di regina dei vini sardi. Esordisce con un colore paglierino, un sapore sgarbato e dolciastro, una stoffa scialba; giungendo in età matura comincia a manifestare i suoi pregi. L’età matura è compresa tra i due e i quattro anni: allora il vino si veste di una calda tonalità dorata, appalesa un gusto acidulo, secco e leggermente amarognolo, sprigiona un profumo simile a quello del fiore della mandorla. Di Vernacce in Sardegna se ne incontrano due: quella chiamata Vernaccia di Oristano o Vernaccia di Solarussa, in provincia di Cagliari, e la Vernaccia di Orosei nel Nuorese. La prima, a giudizio degli intenditori, tocca la vetta della perfezione. The post Vini della Sardegna appeared first on Wine Shop Online. via Wine Shop Online https://online-wine-shop.com/vini-della-sardegna-nuragus/ In tutti i paesi vitiferi abruzzesi sono coltivati i vitigni montepulciano d’Abruzzo e trebbiano d’Abruzzo, dalle cui uve, ammostate separatamente, nascono i due omonimi vini. Mescolandole invece secondo determinate proporzioni, si ottiene il Cerasuolo d’Abruzzo il quale possiede un po’ le virtù dell’uno e dell’altro. Il Montepulciano d’Abruzzo è un vino rosato carico, alcoolicità di tredici gradi, aromatico, sapore leggermente amabile velato da un gusto asprigno particolare. Con l’invecchiamento assume un aroma somigliante a quello del Marsala, mentre l’originaria tinta rosata prende una colorazione violacea. Il Trebbiano d’Abruzzo presenta un colore giallo dorato, un sapore asciutto molto fresco e arriva al massimo ai dodici gradi. Nella ristretta zona di Avezzano e contermini si ricava, con la mescolanza delle uve montepulciano e sangiovese, il Marsicano piuttosto aspretto, ma interessante. In Abruzzo, come nelle vicine Marche, ancora oggi si possono incontrare i cosiddetti vini annosi, ottenuti mescolando mosto crudo a mosto cotto nella proporzione di due parti a una. Il vino richiede un particolare invecchiamento per conseguire gli alti caratteri che lo fanno poi assomigliare, nell’aroma e nel sapore, al Malaga. Al presente non è facile trovarlo perché l’odierna legislazione vinicola ne vieta il commercio, non si sa bene per quale motivo. Il Molise, produce gli stessi vini dell’Abruzzo. The post Vini d’Abruzzo appeared first on Wine Shop Online. via Wine Shop Online https://online-wine-shop.com/vini-dabruzzo/ La Calabria esprime un certo numero di buoni rossi, tutti a maturazione tardiva che per raggiungere un perfetto grado di forma hanno bisogno di una lunga stagionatura in botte, da due a quattro anni, con relativi travasi. Il vino calabrese più decantato è il Cirò, rosso mattone tendente all’arancio, dotato di vena amabile più o meno marcata, sui quattordici gradi. Il Cirò si trova sia come vino bianco che rosato che rosso. l Cirò deriva dalle uve del Greco bianco e da una percentuale del 10% del trebbiano Toscano. Il Cirò Rosso o Rosato invece deriva dalle uve del vitigno Gaglioppo. Gradazione minima complessiva per i bianchi di 12 gradi e per i rossi di 13 Dicono provenga dallo stesso vitigno da cui si ricavava il classico Cremissa offerto in dono agli atleti che tornavano vincitori dai giochi di Olimpia. Ben degni di stare vicini al catanzarese Cirò sono il Pollino e il Savuto del Cosentino, il Péllaro e il Palizzi della provincia di Reggio Calabria. Girando la regione, è facile incontrare altri rossi realizzati con sistemi primitivi, ma spesso senza caratteristiche costanti: può capitare d’imbattersi in veri e propri nettari, come di trovarsi di fronte a prodotti che al palato dell’intenditore non dicono nulla. Comunque, dappertutto si nota oggi un progressivo abbandono dei metodi empirici per l’adozione di tecniche razionali. Nel settore delle bevande da seconde mense vanno ricordati il Balbino di Altomonte, i Moscati di Frascineto e Saracena, la Malvasia di Catanzaro, lo Zibibbo di Briàtico, il Montònico di Bovalino e l’eccellente Greco di Bianco, un liquoroso di lusso a gusto secco. The post Vini della Calabria il Cirò appeared first on Wine Shop Online. via Wine Shop Online https://online-wine-shop.com/ciro-vini-della-calabria/ Normalmente i vini italiani ricevono il nome dalla località di produzione o dal vitigno; rare volte ne hanno uno di fantasia. Il più celebre vino italiano d’arrosto, il Barolo, si intitola a un piccolo comune del Piemonte occidentale situato in provincia di Cuneo. È fatto con l’uva nebbiolo raccolta nei vigneti di Barolo, Castiglione Falletto, Serralunga d’Alba, La Morra, Verduno e in parte dei territori di Manforte d’Alba, Novello, Grinzane Cavour, Alba. Appartiene alla specie dei vini tardivi e difatti raggiunge la maturità dopo almeno quattro anni d’invecchiamento in botti di rovere; allora acquista un colore rubino marezzato d’arancio, un tenore alcoolico medio di tredici gradi, un sapore asciutto, morbido e vellutato, un profumo di violetta con sottofondo di rosa. Il vino Barolo è Ricco di ferro e di fosforo, produce effetti gerontologici e onirici; longevo, consegue una straordinaria finezza con il passare degli anni e per tale ragione in qualche famiglia di produttori si usa ancora, alla nascita del primogenito, conservarne delle bottiglie da sturare poi quand’egli si sposerà o in altre occasioni importanti della sua vita. Sul vino Barolo se ne raccontano tante e tra l’altro si dice che sia piaciuto a Giulio Cesare, a Pio VII, a Enrico II di Francia; indubbiamente i predetti personaggi avranno bevuto del rosso dei vigneti di La Morra, non Barolo perché questo vino nacque ai primi dell’Ottocento ad opera del marchese Carlo Tancredi Falletti. Fino al 1840 non molti a Torino, allora capitale del regno di Sardegna, avevano avuto modo di gustarlo; lo stesso Carlo Alberto ne aveva sentito soltanto parlare e un giorno,
incontrando a corte Giulia Vittorina Colbert vedova del Falletti, l’apostrofò in tono scherzoso: « Marchesa, sento celebrare il vino delle vostre tenute; quand’è che me lo farete assaggiare?». E la Colbert di rimando: « Vostra maestà sarà presto accontentata». Le battute sono un po’ fumettistiche, ma si vede che a quei tempi le personalità di rango interloquivano come fanno i protagonisti dei moderni fumetti. Il re, qualche settimana dopo, si vide arrivare un cospicuo assaggio e fu tanto conquistato dalla grazia del vino da comperare il castello di Verduno con le annesse vigne. Successivamente Vittorio Emanuele II acquistava altri vigneti e cosi il Barolo diveniva il re dei vini e il vino dei re. Dove il Marchese Falletti sia andato a prendere i vitigni per i suoi impianti non si sa; possiamo supporre che li abbia cercati in Borgogna oppure a Gattinara nel Piemonte occidentale. Di Gattinara è noto sin dal diciassettesimo secolo l’omonimo vino rosso prodotto da maglioli borgognoni. Li aveva inviati il gattinarese cardinale Mercurino Arborio all’epoca in cui, quale cancelliere di Margherita d’Austria, era presidente del Parlamento della Borgogna. Il vitigno del Gattinara ebbe il nome di spanna ( corruzione dialettale di Spagna) in seguito a una curiosa coincidenza: esso cominciò a diffondersi quando il cardinale Arborio assurse all’alta carica di gran cancelliere dell’imperatore Carlo V e i contadini credettero che avesse mandato i vitigni dalla Spagna. Gattinara e Barolo in effetti sono due vini gemelli pur con caratteri distinti dovuti alle differenze ambientali. L’uva nebbiolo coltivata a Barbaresco, Neive e Treiso dà il Barbaresco; a Santo Stefano Roero, Vezza d’Alba, Corneliano d’Alba e Guarene, il Nebbiolo nei tipi asciutto e dolce; a Carema, il Carema. Il Barbaresco è fratello minore del Barolo. Asciutto con leggera vena amabile, tra i dodici e i tredici gradi, denunzia uno stoffa più delicata; viene a maturazione dopo i tre anni e sa di violetta. Il Nebbiolo si rivela piuttosto tardivo e i viticoltori preferiscono approntarlo nell’edizione dolce. Il Carema, di un rosso volgente al granato e di un profumo di rosa sbocciata, ha bisogno di una stagionatura di quattro anni, due in botte di rovere o di castagno, due in damigiana. Tutti i vini rossi sopra elencati, ad eccezione del Nebbiolo dolce, rientrano nella categoria dei vini d’arrosto, come vi rientrano quelli a base di uva spanna: il Gattinara, il Ghemme, il Sizzano, il Boca, il Lessona di Lessona, Vigliano Biellese e Valdengo, il Fara, il Caramino di Briona, il Mottalciata. Anche in questo secondo gruppo tra vino e vino esistono differenze di sapore e profumo dovute all’uvaggio. Con la parola uvaggio si indica la mescolanza, realizzata secondo determinate percentuali, di uve diverse che vengono ammostate contemporaneamente. Tale pratica enologica, naturale e antichissima, differisce dal cosiddetto taglio, una pura e semplice commistione di mosti o vini. Dalla mescolanza delle uve nascono profumi composti come quello di mammola e fragola nel Fara, di viola, fragola e rosa nel Ghemme, di melagranata nel Boca. Il rosso più rappresentativo e importante del gruppo è il Gattinara, non soltanto per la primogenitura, ma anche per i pregi intrinseci: onirico, gerontologico, ha una stoffa principesca, un ” bouquet ” di violetta e lampone, un tenore alcoolico sui dodici gradi, un gusto asciutto e vellutato con vena di mandorla amara quando viene da spanna pura, lievemente salato se alla spanna si aggiunge un dieci per cento di uva bonarda. Arriva alla maturità dopo un invecchiamento di quattro anni mantenendosi vegeto e prestante fìno alla più tarda età.
Il vino Sizzano piaceva tanto a Cavour che lo faceva servire anche nei pranzi diplomatici, il Ghemme era molto caro ad Antonio Fogazzaro il quale lo ricorda nel romanzo ” Piccolo mondo antico “. Dopo tanti vini con quarti di nobiltà, eccone finalmente uno di estrazione popolana, il Barbera. La differenza tra un Barolo e un Barbera si nota subito nel mescerli: il primo raggiunge il calice senza chiasso, in modo composto, al massimo esprime qualche piccola bolla, il cosiddetto ” perlage “ dei vini aristocratici; il secondo manifesta una rumorosa e gagliarda irruenza, borbotta, spuma, e se versato in maniera maldestra trabocca dal bicchiere. Il vitigno prospera ovunque in Piemonte sapendosi adattare a qualsiasi terreno, ma solo in determinate zone delle province di Asti, Alessandria e Cuneo riesce a dare un prodotto di classe. Questo vino rosso si muove tra i dodici e i quattordici gradi, rivela un profumo misto di marasca e lampone, una stoffa vigorosa, un sapore asciutto talvolta con vena ammandorlata, un colore rubino gioiosamente brillante, una schiuma violacea tanto rapida a formarsi quanto sollecita a disciogliersi. Un anno di botte ed è pronto; conosce però l’arte d’invecchiare il vino e con la stagionatura si trasforma in bevanda degna di accompagnare l’arrosto. A seconda della zona di produzione, il Barbera vecchio appalesa alcuni aspetti del suo carattere: nell’Astigiano e nell’Alessandrino resta quello che è, con una veste più pronunziata di lampone; nel Cuneese tende ad accostarsi al gusto del Barolo, insomma baroleggia, giusto il linguaggio dei tecnici. La collana dei rossi piemontesi comprende inoltre il Dolcetto, che non è dolce come il suo nome lascia supporre, il Frèisa asciutto o amabile, frizzante, con vago sentore di viola e infine il nobile Grignolino dalla stoffa sottile e dall’odore di rosa; purtroppo non è longevo. Quest’ultimo godeva la simpatia della regina Elena. Il Dolcetto, fermentato sulle vinacce del Barolo, prende il nome di Barolino; fermentato sulle vinacce del Barbera si dice Barberato; comunque fatto, rimane sempre da pasto. Il miglior Frèisa proviene da Chieri; la zona del Grignolino abbraccia pochi paesi dell’Astigiano oltre a piccole contrade dell’Albese e del Casalese. I bianchi di tipo sapido, autoctoni della regione, sono due: il Cortese dell’Alessandrino e-l’Erbaluce dell’ex-circondario di Ivrea e delle zone vercellesi ad esso confinanti. Ambedue secchi con vena amara, freschi e moderatamente alcoolici si prestano ad accompagnare il pesce. Il Piemonte allinea quattro ottimi vini da seconde mense: il Nebbiolo dolce, il Brachetto, il Passito di Caluso, il Moscato d’Asti. Il Nebbiolo dolce giunge alla beva molto prima dell’asciutto; spumante rosso naturale, possiede una bella gradazione alcoolica, odora di violetta e con gli anni si decolora dal rubino chiaro all’ambrato scuro. Altro spumante rosso è il Brachetto, tenore alcoolico di tredici gradi, profumo di rosa; tipico delle province di Asti, Alessandria e Cuneo, trova ad Acqui Terme il suo migliore centro di produzione. Il Passito di Caluso discende da uva erbaluce lasciata ad appassire sopra graticci per tutto l’inverno in appositi locali; risulta assai costoso dato che per ricavarne cento litri occorrono ben cinquecento chili di uva, senza contare l’invecchiamento di cinque anni. Ambrato scuro, alcoolico, delicatamente dolce, pieno, vellutato, aromatico, armonico, va annoverato tra i liquorosi di lusso. La zona tipica del Moscato d’Asti, dolce e poco alcoolico, abbraccia l’ Alessandrino, l’Astigiano e il Cuneese; quello di Canelli, di Santo Stefano Belbo e di Strevi raggiunge un maggior grado di bontà. Da questo Moscato si ottengono l’Asti spumante e il rinomato vermut di Torino. Lista dei vini Piemontesi
e infine il notissimo Barbera The post Vini del Piemonte appeared first on Wine Shop Online. via Wine Shop Online https://online-wine-shop.com/vini-del-piemonte/ Se per la pastasciutta conta il sugo, per i ravioli, conta il vino e la farcitura. Se vogliamo accomunare sotto questa denominazione le varie tipologie di pasta ripiena tipiche delle varie tradizioni regionali italiane, quando si vuol scegliere il vino in abbinamento occorre fare attenzione alla farcitura. La farcia o farcitura può essere infatti di verdure, di carne, di selvaggina, di pesce. Con gli agnolotti, i casoncelli e le altre tipologie di ravioli ripieni di carne sceglieremo dei vini rossi giovani, secchi, di medio corpo, dal profumo fruttato e poco tannici: un Dolcetto piemontese, una Barbera dell’Oltrepò Pavese, oppure un Merlot o un Valcalepio, per esempio, tenendo conto nella scelta anche dell’intensità del sapore dei formaggi utilizzati insieme con la carne. Se il ripieno è a base di selvaggina occorrono vini più robusti, maturi, di carattere, come un Barolo o una Barbera d’Asti invecchiata. Con la farcia di pesce va bene un vino bianco secco, di buona acidità, morbido, fruttato, come il vino Verdicchio dei Castelli di Jesi, il Lugana, il Cinque Terre o il Langhe Favorita. Un’altra tipologia di paste ripiene è quella che prevede farciture a base di erbe: i ravioli agli spinaci possono sposarsi con un rosso giovane e fresco di acidità come un Refosco o un Merlot, i tipici pansotti liguri alle erbette conditi con la salsa di noci si abbinano ottimamente con un bianco come il Pigato, i classici cialzons della Carnia (ripieni di carne, uova, formaggio ed erbe) vogliono altri bianchi: un Tocai Friulano o un Riesling. I tortelli mantovani di zucca, avendo una forte componente aromatica e speziata, vanno a nozze col Gewùrztrarniner, col Mùller Thurgau o col Riesling. E poi ci sono le tradizioni regionali. A Bologna i tortellini in brodo si servono rigorosamente col Lambrusco di Sorbara in un abbinamento pressoché perfetto. E a Mantova il Lambrusco Mantovano è lo sposo ideale degli agnoli in brodo, al punto che c’è chi versa un bicchiere di vino persino dentro al piatto, creando una squisitezza imperdibile: il bevr’in vin. The post Vino e Ravioli quali sono gli abbinamenti migliori? appeared first on Wine Shop Online. via Wine Shop Online https://online-wine-shop.com/vino-ravioli-abbinamenti-migliori/ Il Marsala appartiene alla categoria dei vini speciali. Si prepara dai cosiddetti Marsala vergini, bianchi ad alto tenore alcoolico, adeguatamente invecchiati e corretti con l’aggiunta del sifone, cioè di mosto d’uva appassita. Il Marsala siciliano viene rinforzato con alcool; dopo quattro anni di stagionatura in botte raggiunge l’età della beva. I Marsala vergini sono prodotti in alcune località delle province di:
L’autentico Marsala una volta maturo si veste di un bel colore arancione, sprigiona un aromatico “bouquet” in cui si fonde l’odore dei fiori di sambuco, del tiglio e della noce moscata, manifesta un’alcoolicità sui diciotto gradi. Può essere secco, dolce o a sapore speciale di cacao, fragola, nocciola, mandorla. La Storia del MarsalaA creare il vino Marsala fu l’inglese John Woodhouse che, venuto per diporto nel 1773 a Marsala e assaggiato il meraviglioso bianco del luogo, ebbe l’idea di esportarlo nel Regno Unito. L’impresa parti a gonfie vele, ma le autorità marsalesi cercarono, con perfetta incoscienza, di mandarla in fallimento mediante l’imposizione di onerosi gravami fiscali; Woodhouse, che tra l’altro era amico dell’ammiraglio Nelson, seppe in modo intelligente stornare la minaccia. Passata la tempesta e aumentato il volume delle esportazioni, altri inglesi vennero a stabilirsi nella cittadina siciliana, la qual cosa spingeva il governo di Sua Maestà britannica ad aprirvi un consolato. Da questi piccoli eventi sposati a fortuite circostanze nasceva poi il fatto che contribui, sia pure indirettamente, alla formazione dell’unità d’Italia. Ed ecco il fatto cosi come accadde. Pochi giorni prima dello sbarco di Garibaldi arrivava a Marsala il generale Letizia, inviatovi dai Borboni per sedarvi una piccola rivolta e per precauzione ordinava a tutti i cittadini la consegna delle armi. Il console inglese, parendogli che l’ordine non riguardasse i sudditi britannici, andò a chiedere spiegazioni al generale e questi gli rispose che la disposizione valeva per tutti. Sentendosi indifeso, il console chiamava da Malta due navi da guerra che gettavano l’ancora in porto. Nel frattempo da un lato arrivava Garibaldi e dall’altro una corvetta a vapore del governo borbonico. Sparando, la corvetta avrebbe colpito i legni inglesi e perciò dovette aspettare che i britannici si togliessero di mezzo, ma quando poté aggiustare il tiro i mille erano quasi tutti sbarcati.
Oltre al Marsala la Sicilia fornisce una dozzina di vini da seconde mense: i Moscati di Pantelleria, di Noto, di Siracusa e Zucco, il Capo Lilibeo, il Passolato di Trapani, il Passito di Misilmeri, la celebre Malvasia di Lipari nelle versioni secca e dolce, quella di Milazzo, il prestigioso Albanello, il Mamertino, l’Ambrato di Còmiso, che deliziano l’occhio, il palato, l’olfatto e che ammantano la loro possanza in un morbido guanto di velluto. Pure nutrita è la schiera dei vini da pasto, da pesce e d’arrosto, ma soltanto pochi dispongono di una precisa denominazione: i bianchi Alcamo, Segesta, Taormina, Cariddi e i rossi Frappato o Cerasuolo di Vittoria, Faro, Ombra di Mascalucia, Pachino. Il Corvo, il Capo di Milazzo, l’Etna, il Ragalna, l’Anapo, L’Eloro hanno il tipo bianco e il tipo rosso. I nomi dei vini siciliani sono:
The post Il Marsala e i vini di Sicilia appeared first on Wine Shop Online. via Wine Shop Online https://online-wine-shop.com/marsala-vini-di-sicilia/ La fama dei vini toscani come il Chianti è universale. Questo vino cominciò a muovere i primi passi in epoca lontana e dell’esordio si conosce poco o nulla; di certo sappiamo che nel secolo decimosettimo era già noto all’estero sia con il proprio nome, sia con quello più generico di rosso di Firenze. Il Barone Bettino Ricasoli, uomo politico e grande viticoltore, impostò su basi razionali la produzione del Chianti e disciplinò pure le proporzioni delle uve chiamate a comporlo; ne venne fuori un rosso giusto d’alcool e di corpo, adatto anche ai palati più esigenti, capace di invecchiare senza perdere nessuna delle sue peculiari caratteristiche. Il Chianti autentico nasce dalla commistione di sangioveto, canaiolo nera, trebbiano e/ o malvasia, mescolate nelle proporzioni del settanta, venti e dieci per cento. Giunto a maturazione, assume un color rubino brillante marezzato d’arancio, una consistenza alcoolica di dodici-tredici gradi, un profumo di ireos, un gusto asciutto. L’invecchiamento lo innalza nella scala dei valori e gli conferisce una stoffa principesca. Di fronte a una tale bevanda, i pellegrini dell’arte che giungevano a Firenze da ogni parte del mondo rimanevano incantati e, tornando ai· loro Paesi, ne dicevano meraviglie. Ciò diede al Chianti fama internazionale e molti in Toscana cominciarono a battezzare i loro vini o vinelli con il prestigioso nome. Quando l’abuso diventò sfacciato, i produttori dell’autentico crearono ( 1924) un consorzio e adottarono un marchio distintivo costituito da un gallo nero in campo giallo. L’originaria zona del Chianti comprende pochi territori a cavallo delle province di Siena e Firenze: i comuni di Castellina, Gaiole, Radda, Greve e parte di Castelnuovo Berardenga, Poggibonsi, San Casciano in Val di Pesa, Tavernelle Val di Pesa, Barberino Val d’Elsa. Alla nascita del consorzio del gallo, che veniva a tutelare il vino delle suddette località, i confinanti si adoperarono per avere anche loro il diritto di creare consorzi. Un’apposita commissione ministeriale studiò il problema e lo risolse mediante un compromesso: mise il Chianti autentico su uno scalino più alto fregiandolo dell’appellativo di classico e ne autorizzò sei nuovi: dei colli aretini, fiorentini, pisani, senesi, del Montalbano e del Rufina. Purtroppo con questo provvedimento i celebri Artimino, Carmignano e Nipozzano si sono visti degradati a Chianti comuni. Oltre ai sette Chianti, la Toscana esprime una gamma di bianchi e di rossi degni della più alta considerazione. L’Aretino produce i Vergini della Val di Chiana, bianchi da uva digraspata e fermentata senza vinacce, sottili, verdolini, secchi, aciduli, profumati; con lo stesso sistema si fanno il Bianco di Cortona, amabile e aromatico, il Montecarlo bianco, secco e sottile, il Val d’ Arbia, grato e giulivo. Il Pitigliano vino bianco rivela affinità di caratteri con l’Orvieto secco, mentre l’Ansonica di Monte Argentario ricorda l’Albana di Romagna. Il Procanico dell’isola d’Elba possiede un gusto caldo, la Vernaccia secca di San Gimignano è resa preziosa da un gradevole fondo amaro. Anche l’Ugolino e il Val di Nièvole, per la loro freschezza e sapidità, meritano di entrare nel novero delle bevande da pesce. Buoni vini rossi sono quelli di Scansano, di San Miniato e del territorio di Orbetello. Il Maolino di Lucca sprigiona effluvi di Aleatico. Il Montecarlo rosso, il Sangioveto dell’Elba, il Nobile di Montepulciano e il Brunello di Montalcino vanno senz’altro ascritti tra i superiori d’arrosto. In comune hanno una certa resistenza a maturare, la stoffa signorile, il sapore asciutto, il “bouquet” in cui si avverte chiaro l’odore della mammola, il tenore alcoolico tra i dodici e i tredici gradi, la disposizione a migliorare con l’invecchiamento, le qualità gerontologiche e oniriche. Nel gruppo gode maggior fama il Nobile di Montepulciano, vino che fu addirittura definito dal Redi « di ogni vino re». Ed eccoci alle bevande da seconde mense: i moscatelli di Montalcino, Subbiano e Capolona, il delicato Aleatico di Portoferraio, l’aromatica Malvasia di Cortona, la dolce Verdea di Certaldo, la pregevole Vernaccia liquorosa di San Gimignano, l’alcoolico Moscato e gli spumanti secchi dell’isola d’Elba, l’eccellente Vinsanto. In ogni fattoria toscana si conosce l’arte antica di preparare il Vinsanto dalle uve appassite di malvasia, trebbiano e canaiolo bianca, attraverso una catena di lavorazione che dura tre anni; chi può lo lascia invecchiare un lustro e piti. Se fatto con sole uve bianche acquista il colore dell’oro; quando alle bianche si unisce della sangioveto o della canaiolo nera il colore tende al classico occhio di gallo. Il sapore varia dal dolce al semisecco, nei vecchi arriva all’asciutto; allora la tinta si scurisce. Il “bouquet” compone in singolare armonia i profumi dei fiori di zafferano e di sambuco legati al caldo odore dell’alcool. Non si sa bene se questo vino si chiami vin santo in quanto giovevole alle persone di salute malferma, o perché lo si adopera da tempo immemorabile nella celebrazione della messa. Tra le due ipotesi viene ad inserirsi la leggenda del dottissimo monaco Bessarione che, assaggiandolo a Firenze, pare abbia esclamato: « Ma questo è di Xanto! ». Egli alludeva, scrive Piero Bargellini, al celebre vino greco di tal nome, ma i vicini credettero che il grande padre della Chiesa Orientale gli avesse trovato tali virtù da proclamarlo santo.
guarda anche i vini Italiani nel 1800 The post Vini della Toscana il Chianti appeared first on Wine Shop Online. via Wine Shop Online https://online-wine-shop.com/chianti-vini-della-toscana/ Quando si parla di cucina italiana si pensa immediatamente agli spaghetti, alla pizza e al pomodoro ma quali sono gli abbinamenti perfetti? Il pomodoro appartiene alla gastronomia italiana da tempi tutto sommato modesti: la sua esplosione non va più in là del Settecento, dato che prima era considerato tutt’al più una pianta ornamentale ‘d’importazione’. Sta di fatto che oggi il pomodoro al naturale, oppure trasformato in pelato, salsa o concentrato, entra in una infinità di piatti. E dunque merita una trattazione a sé stante quando si parla di abbinamenti cibo-vino.
In linea di massima, i piatti in cui il sapore acidulo del pomodoro abbia una certa preminenza s’accostano agevolmente soprattutto con dei vini bianchi giovani, leggeri, morbidi, capaci di offrire sensazioni erbacee, fruttate, floreali. Con gli antipasti delicati useremo ad esempio un Sylvaner dell’Alto Adige o un Capri. Con la pastasciutta metteremo in tavola un Tocai veneto o friulano, oppure un Est! Est!! Est!!! di Montefiascone. I pomodori ripieni si possono servire come piatto unico estivo insieme con un bicchiere di Vespaiolo di Breganze, oppure di Chardonnay non barricato. Il pomodoro entra anche nella preparazione dei pesci in umido: possono andar bene un Frascati, una Vernaccia di San Gimignano, un Pinot Grigio. C’è il pomodoro persino nei brodetti di pesce, che si sposano col Pinot Bianco, coi Riesling, oppure col Verdicchio dei Castelli di Jesi o con quello di Matelica. Ma ci sono le eccezioni. La pasta col pomodoro crudo, per esempio, sta benissimo anche con un vino rosato servito fresco, mentre molti buongustai associano con piena soddisfazione alle zuppe di pesce dei vini rossi giovani serviti un po’ freschi e persino dei vini novelli rossi. Rosso anche con le carni in umido, che pure hanno il pomodoro in pentola: salendo da sud verso nord vanno bene ad esempio un Vesuvio Rosso, un Rosso (onero, un Rossese di Dolceacqua o un Dolcetto d’Alba. The post Vino e pomodoro qual’è l’abbinamento perfetto? appeared first on Wine Shop Online. via Wine Shop Online https://online-wine-shop.com/vino-pomodoro-abbinamento-perfetto/ |
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